Esperienze

Nasce a Piacenza il Bonsai Club

Gli aderenti al neonato Bonsai Club di Piacenza sono concordi nell'affermarlo: chi comincia ad allevare bonsai lo fa per amore della natura, ma non solo. C'è dietro questo impegno quotidiano lo stupore semplice, primordiale del bambino che scopre il meraviglioso mistero dello sbocciare della vita e del suo farsi, ma anche il piacere di un accudimento genitoriale, del vedere una propria creatura che cresce e prende forma sotto le mani.

Anche perché, come in tutte le arti tradizionali giapponesi, non si tratta di intervenire con un gesto violento per imprimere alla piantina una forma a priori, ma piuttosto di porsi in ascolto, per captarne l'essenza e farla emergere, enfatizzandola, attraverso una serie infinita di piccoli, sapienti interventi quotidiani. L'arte bonsai richiede tempo e pazienza, impone di fermarsi un momento a contemplare le forme della Natura, in definitiva funziona come una sorta di meditazione. Ma in più premia con il meraviglioso risultato che si otterrà, un piccolo albero dalla personalità unica e inconfondibile.

http://www.kadoflowerdesign.it/il-blog/in-chi-fa-bonsai-c-%C3%A8-la-meraviglia-dei-bambini.html


Dopo italiano e matematica, il giardino zen

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I bambini della scuola elementare di Ponte dell’Olio, un placido paese adagiato sulle colline del piacentino, tra le materie didattiche che affrontano la mattina in classe, ne hanno una affatto particolare. La loro intraprendente e creativa maestra, Marta Gazzola, ha scoperto che il giardino zen fa bene al cuore e alla mente, anche sotto i dieci anni, e l’ha incluso fra le attività scolastiche.

Come ti è venuta, Marta, questa idea?
Come spesso mi accade, quando trovo qualcosa che mi appassiona o incuriosisce personalmente, cerco di condividerlo con gli alunni in classe.
Durante l’ultimo viaggio che ho compiuto, ho conosciuto un artigiano che andava “a caccia di pietre” e le lavorava nel suo laboratorio; un’ossidiana in particolare ha attirato la mia attenzione e ho deciso di acquistarla. Arrivata a casa, però, era come se la pietra avesse perso con il contesto anche parte del suo carattere. Ho cercato quindi di ricostruire un piccolo ambiente in una cassetta in cui lasciare giacere in quiete la pietra. Da lì è nata la ricerca sui giardini Zen e un compromesso che so essere molto personale di quell’arte.
In classe ho cercato di proporre un’attività che avesse un forte legame con il territorio in cui agisco: Ponte dell’Olio. Dopo aver proposto ai bambini nuove interpretazioni del “sasso” mostrando alcuni esperimenti di Munari, ho portato in classe alcuni sassi del torrente Nure. I bambini li hanno osservati a lungo e hanno cercato di interpretarne il volere: quale posizione preferisce assumere il sasso, in che modo può raggiungere il suo equilibrio e la sua massima espressività. Successivamente ciascun bambino ha portato il coperchio di una scatola da scarpe e l’abbiamo riempito di sabbia: ora potevamo finalmente collocare i sassi all’interno e deciderne la posizione in relazione anche ad altri elementi se presenti. Si è passati poi al disegno sulla sabbia con piccoli rastrelli fatti di fiammiferi già bruciati, simulando così i flussi del fiume in continuo movimento e cambiamento che accarezzano le piccole montagne-sassi.



I bambini come hanno accolto l’idea?
(risposta in collaborazione con gli alunni)
Molto bene, erano entusiasti!
In principio credevano fosse una cosa difficile per loro, temevano di doversi concentrare troppo, ma dopo aver osservato le immagini di alcuni Giardini Zen si sono rasserenati, soprattutto perché alcuni di loro già li avevano visti pur non conoscendone l’anima.

Quali sono state le domande o le osservazioni che hanno fatto appena hanno capito di cosa si trattava?
Le domande iniziali, molto pragmatiche, riguardavano soprattutto lo scopo e l’utilità dell’attività e il modo in cui reperire il materiale (sassi e sabbia).
L’idea di avere un piccolo Giardino di Roccia personale li allettava, sembrava loro una bella idea anche per poter esprimere la loro personalità (parole dei bambini).

È stato difficile far capire a bambini così piccoli il principio di questo lavoro?
Assolutamente no. La grande sorpresa è stata proprio la semplicità con cui hanno metabolizzato, attraverso il fare, il principio. I bambini hanno accettato con naturalezza di fare e rifare e trasformare e ripensare (a differenza dell’adulto che probabilmente sarebbe tentato di cristallizzare nel tempo un disegno particolarmente interessante creato sulla sabbia o un soddisfacente equilibrio spaziale trovato fra i sassi).
Ho osservato una positiva disponibilità alla continua trasformazione.

In genere si applicano volentieri a questo tipo di attività, la vedono come un gioco inusuale o la considerano alla stregua di qualsiasi altra attività scolastica?
Sono sempre molto disponibili, accettano volentieri e dimostrano di avere molta fiducia in ciò che propongo. La cosa curiosa è stata che, pur presentando questa attività nell’ambito disciplinare di arte e immagine, ho pensato di utilizzarla come break durante l’arco della giornata scolastica per dedicare momenti al “relax-concentrazione altra” …e ha funzionato! I bambini hanno avuto a disposizione tempo libero per rilassarsi e giocare con il Giardino riponendolo poi ogni volta nello scaffale (si conta solo un piccolo disastro di sabbia sul pavimento, uno solo, incredibile!). Questo tipo di attività credo proprio che possa aiutare per gestire i flussi di concentrazione richiesti nell’arco dell’intera giornata.
In classe c’è chi l’ha considerato un gioco, chi un gioco serio, chi un’attività piacevole di arte immagine e chi una possibilità per scoprire una passione (parole dei bambini).

Per i bambini, in generale, è più importante il divertimento dell’ideazione e dell’allestimento oppure il risultato che ottengono?
Pensavo che mi avrebbero risposto il risultato che ottengono.
Risposta dei bambini: l’ideazione è più importante.

Hai notato qualche effetto significativo sui bambini, sul loro stato emotivo o sulle loro competenze di tipo estetico, geometrico ecc.?
Come già ho accennato, ho trovato utile questa attività per la gestione degli stati emotivi e i momenti di concentrazione. Questo tipo di lavoro può incrementare autonomia e responsabilità per la gestione di tempi e spazi, oltre che invitare ad un clima di classe positivo, sereno con bambini con maggiore autostima.
Osservarli nel silenzio mentre studiavano e osservavano i sassi cercando di capirne la volontà statica e rinunciando così a volte ai propri “capricci antigravitazionali” è stato molto interessante. Il progettare e riprogettare la disposizione nella scatola non è stato pressapochista o scontato, spendevano tempo e auto-valutavano le loro ideazioni senza alcuna pressione o intervento da parte mia: l’attività era autogestita.
Le conquiste più grandi che ho osservato: vedere togliere elementi giungendo a un equilibrio essenziale, vedere cancellare e ricominciare da capo un Giardino in continua trasformazione.
Molto interessante infine è stato giocare con la luce per valorizzare gli elementi, la loro posizione e i rilievi: ho interpretato anche questa scelta di direzione e distanza del soggetto illuminante come un autografo finale all’attività proposta.

(Il giardino zen è un progetto attuato presso l’Istituto Comprensivo della Val Nure dagli alunni di una classe quarta Primaria con Gazzola M.).


La mia vita da sirena

Silvia, 19 anni, frequenta il liceo linguistico dove studia inglese, tedesco, spagnolo e… giapponese, la lingua che parla il suo cuore. Alta e sottile come un giunco, i capelli azzurri, l’incarnato lunare, la si direbbe capitata per sbaglio sulla Terra dalle lontane orbite di qualche mondo parallelo. Sarà forse per questo, per cercare di ritrovare le tracce di quel suo remoto paese natale, che già da diversi anni coltiva una passione irrefrenabile, il cosplay.

Silvia, come è nato l’innamoramento per il cosplay?
Inizialmente, per me cosplay significava essenzialmente Mermaid Melody. Da bambina, guardavo questo meraviglioso anime e sognavo di diventare una sirena. Quando ho capito che non sarebbe accaduto, ho fatto in modo di innescare la trasformazione con il costume.

Ma dove trovavi i costumi da sirena?
Me li creavo da me. Prendevo vecchi abiti, li tagliavo e, non sapendo cucire, spillavo i pezzi con la cucitrice. Poi, in prima media, mi sono fatta insegnare da mia madre il punto indietro e ho cominciato a cucire le stoffe. Confezionavo i costumi e poi li testavo in mare. Certo, allora lo facevo solo perché volevo essere una sirena, non conoscevo ancora il mondo del cosplay.

Oggi il repertorio dei tuoi costumi è molto più ampio.

Sì, la sirena rimane la mia passione più grande, ma creo anche modelli fantasy o original. Inoltre, con gli amici, faccio giochi di ruolo ispirati a manga e anime. Invece di giocare dietro allo schermo di un computer, ci troviamo e portiamo avanti l’azione dal vivo. Naturalmente con i costumi, le parrucche e il trucco richiesti dal personaggio.

Che ruolo gioca il cosplay nella tua vita?
Senz’altro un ruolo centrale. Potendo, vorrei fosse la mia occupazione principale. Non lo vivo però come una fuga dalla quotidianità (per evadere preferisco piuttosto scrivere racconti fantasy). Diciamo che mi piace sperimentare altre vite, altri modi di essere, altre personalità, anche molto lontane dalla mia. Tra i miei personaggi ci sono tsundere (n.d.r., ragazze arroganti e imbronciate, ma in fondo generose), yandere (n.d.r., ragazze apparentemente molto kawaii, ma capaci di trasformarsi in efferate assassine), kuudere (n.d.r., donne fredde e insensibili, che mostrano i loro veri sentimenti solo in rarissime circostanze). L’unica tipologia che mi manca è la dandere, la fanciulla timida e dolce. Qualche volta ho fatto anche crossplay, personaggi del sesso opposto.

Altre personalità, dici, ma non ci sarà in te un pizzico di ciascuna delle tue creazioni?
Oh, può essere! Uno dei miei personaggi più amati, per esempio, è Yuno Gasai, la psicopatica protagonista di Mirai nikki, un anime molto splatter. Io la riproduco com’è nella seconda metà dell’anime, quando diventa una serial killer conclamata. Devo dire che interpretarla è stato veramente liberatorio in certi periodi della mia vita. Questi personaggi funzionano come una valvola di sfogo, incanalano aggressività e rancori che a tutti capita di provare.

Oltre a questo, immagino che il cosplay abbia anche sviluppato la tua manualità.
Adesso molti costumi riesco a confezionarli da sola, anzi, le code di sirena, che sono la mia specialità assoluta, le realizzo anche su commissione per altre cosplayer. Anche in questo momento ho una decina di ordini da evadere…

Progetti per l’immediato futuro?
Senjogahara Hitagi, la liceale protagonista del Bakemonogatari: ho già la parrucca! Il 22 e 23 aprile, in occasione del Festival del Fumetto di Piacenza, canterò accompagnata da batteria e chitarra, prima e dopo il contest di cosplay.